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Spesso mi è risuonato, e mi risuona tuttora, il vecchio adagio “con la terra non si campa!” Per gran parte della mia vita ho accettato questo assunto e mi sono guadagnato il “pane” facendo altro: -educatore; cameriere; manutentore; falegname; magazziniere; artigiano edile; casaro e qualche altro mestiere che ora mi sfugge. Ogni volta che lasciavo uno di questi lavori e, con grande entusiasmo e convinzione, mi preparavo a diventare un “aspirante contadino”, trovavo sempre qualcuno, un familiare, un amico, che mi ripeteva il mantra “con la terra non si campa!”. Ed ogni volta io, fiaccato nello slancio da queste parole, tornavo a cercare un lavoro “vero”. Man mano, però, mi appariva sempre più chiara la contraddizione in termini di queste parole. Come può la terra, su cui pascola il nostro bestiame, maturano le messi, crescono gli ortaggi, scorre l’acqua che beviamo, svettano maestosi gli alberi, non permetterci di “campare”? Oggi, a 42 anni, dopo innumerevoli esperienze ed attenta riflessione, ho capito! “Campare”, vivere, questo è il punto focale. Cosa si intende per vivere e, soprattutto, cosa intendo io? Se si intende: – Cambiare un telefono ogni sei mesi; – La macchina ogni due anni; – Fare l’aperitivo ogni sera; – Pranzi e cene fuori a iosa; – Comprare l’ultimo modello dell’ultimo elettrodomestico di ultima generazione, nonostante il penultimo modello di penultima generazione della stesso elettrodomestico lo abbiamo comprato appena l’anno scorso e giaccia inutilizzato a prendere polvere su qualche scaffale; – E potrei andare avanti per pagine e pagine… Allora è vero! Con la terra non si campa! Ma se si intende: – Produrre da sé i propri mezzi di sostentamento; – Prodursi il cibo, la legna per riscaldarsi e costruire; – Usare l’energia gratuita del sole, del proprio corpo, degli animali e delle piante; – Svegliarsi di mattina presto, con l’entusiasmo di un bambino, per mettere le mani nella terra; – Respirare la pungente aria fresca dell’alba al suono della natura che si risveglia; – Dare a ogni nostro gesto, ogni nostra attività, una valenza “artistica”, intesa come espressione concreta di un talento, qualunque esso sia; – Tornare dai campi al tramonto, stanchi ma fieri della nostra giornata e pronti al meritato riposo ed a un buon sonno ristoratore; – Curare lo spirito; – E potrei andare avanti per pagine e pagine… Allora non è più vero! Con la terra si campa, eccome! Il mio non è altro che un minuscolo pezzo di terra (3000 mq) protetto, dagli umori altalenanti del tempo, da una montagna di lecci, querce e castagni, alle cui pendici abito una piccola casa (30 mq) di legno, pietra e cemento. Si vede, a poca distanza, il mare. È quello che si definisce un paesaggio da cartolina. Sono un aspirante permacultore, o meglio, lo ero fino a qualche tempo fa, prima di conoscere Alessandro Montelli e la sua idea di Agriculture Evolutive. Ma che cos’è la Permacultura? È un termine composto dalla contrazione delle parole inglesi perma(nent) “permanente” e (agri)culture “agricoltura”, coniato a metà degli anni ’70 da Bill Mollison e David Holmgren. Inizialmente definiva un “metodo di coltivazione che, sulla base di principi e strategie ecologiche, permette di progettare insediamenti agricoli simili agli ecosistemi naturali, e quindi in grado di mantenersi autonomamente e di rinnovarsi con un basso impiego di energia”.(Definizione da Oxford Languages) Oggi questo termine, con gli stessi principi e lo stesso metodo attuati nel campo agricolo, si è esteso a tutti gli aspetti della progettazione di spazi vitali e di interazione tra uomo e natura, ampliando il suo significato in perma(nent) culture, “cultura permanente”. Prima ancora di un aspirante permacultore, sono stato un aspirante agricoltore sinergico ligio ai precetti di Emilia Hazelip, un aspirante agricoltore naturale col mito di Masanobu Fukuoka e, sul mio campo, ho ottenuto successi eclatanti e, molto più numerosi, cocenti fallimenti. Ma la cosa che, a prescindere dai risultati, mi ha sempre lasciato l’amaro in bocca, è stata la compressione dogmatica che provavo nell’applicare alla lettera i principi dell’uno o dell’altra. La mancanza di una mia espressione individuale, mortificata e repressa dai Moloch del dogmatismo “ecologico”, mi ha sempre impedito di gioire fino in fondo delle mie precedenti esperienze agricole. Ma come?! Mi ci sono voluti più di quarant’anni per superare il mantra “con la terra non si campa”, ed ora che sono libero e pronto a dare sfogo alla mia creatività, vado ad impelagarmi in altri dogmi che, nonostante le buone intenzioni degli autori, sento limitanti? Così ho deciso! Metto nello zaino Emilia, Bill, David, Fukuoka e tutti gli altri maestri che incontrerò sul mio cammino, e riparto, con le spalle forti dei loro insegnamenti, ma con le mani libere di affondare nella terra ed esprimersi. L’unica speranza che serbo è che, un giorno, guardandomi allo specchio, possa ritrovare la fiera gioia austera che ho visto negli occhi aggrottati dei vecchi contadini, e soltanto in loro.Il lupo